Ancora una volta le cornacchie imperiali indiane mi svegliano prima di quando vorrei. Mi rigiro ancora un po’ sopra il mio sacco-letto finchè decido di mettermi in piedi. Sciabatto fino all’internet cafè di ieri sera, ma stavolta, dopo aver ordinato una bella colazione, mi danno due brutte notizie: non hanno succhi di frutta e la connessione è impossibile fino alle dieci di mattina. Fino a quell’ora in tutto il paese non c’è corrente, quindi niente wi-fi, né lì né altrove.
Dopo colazione torno nella mia stanza, mi carico dell’occorrente e parto per una mini missione. La ragazza che mi ha dato tante informazioni utili per il mio viaggio, compresi i contatti di varanasi e di arambol, è interessata ad una scuola di yoga qui vicino e mi ha chiesto, senza impegno, di andare a dare uno sguardo. Con tutti i favori che mi ha fatto è il minimo…e poi è una scusa per fare due passi.
Alla faccia dei due passi, sotto il sole mi sento come un disperso nel sahara, meno male che ci sono il vento (bahàa) e il mare (sagàr) a ristorarmi. Ogni tanto mollo tutto e vado a fare un tuffo in acqua, peccato che la sensazione di freschezza duri poco. In compenso allontanandomi da Arambol la spiaggia diventa sempre meno frequentata e anche i venditori quasi non ci sono più.
Arrivo boccheggiante nel punto in cui devo lasciare la spiaggia per inoltrarmi nell’abitato e sono costretta ad attraversare un villaggio turistico, uno di quelli chic. Che dire, è proprio bello. Un ponticello in legno per attraversare il fiumiciattolo lo separa dalla spiaggia, poi sono tutte piccole costruzioni in paglia, pulite e ordinate.
Chissà perché lì nessuna cornacchia, solo uccellini che fischiettano allegre melodie tra le alte palme. Mi fermo al ristorante per riprendermi un po’ dalla camminata. I prezzi sono appena un po’ superiori alla media, temevo peggio. Superato il villaggio da cartolina, in cui sarebbe bello perdere la propria identità e restare fino alla fine dei propri giorni in un lieto oblio, torno nel mondo reale e percorro una stradina interna, tra buche, case improvvisate e negozietti di tutto un po’.
Arrivo boccheggiante nel punto in cui devo lasciare la spiaggia per inoltrarmi nell’abitato e sono costretta ad attraversare un villaggio turistico, uno di quelli chic. Che dire, è proprio bello. Un ponticello in legno per attraversare il fiumiciattolo lo separa dalla spiaggia, poi sono tutte piccole costruzioni in paglia, pulite e ordinate.
Chissà perché lì nessuna cornacchia, solo uccellini che fischiettano allegre melodie tra le alte palme. Mi fermo al ristorante per riprendermi un po’ dalla camminata. I prezzi sono appena un po’ superiori alla media, temevo peggio. Superato il villaggio da cartolina, in cui sarebbe bello perdere la propria identità e restare fino alla fine dei propri giorni in un lieto oblio, torno nel mondo reale e percorro una stradina interna, tra buche, case improvvisate e negozietti di tutto un po’.
Trovo il centro yoga. Con il mio inglese ingarbugliato spiego che sono lì per conto di un’amica e che vorrei dare un’occhiata in giro. Vengo rimbalzata da un addetto all’altro, finchè arrivo in un ufficio dove una ragazza inglese si offre di portarmi in giro. Onestamente, dopo le sistemazioni da nababbi di prima, il villaggetto non mi dice molto. Casette in paglia gialle, un grande ambiente per fare yoga, un altro più piccolo per pranzare. E anche i prezzi non mi sembrano buoni. La ragazza è abbastanza gentile ma non mi convince molto. E poi, ma sono tutti europei? L’unico indiano l’ho incontrato all’inizio, poi tutti visi pallidi.
Vabbè, la mia missione si conclude lì.
Prima di rientrare in spiaggia, vedo questo simpatico accrocchio sincretico. Una madonna con sant'antonio e un'omino che li onora in pieno stile induista.
Così come a Jodhpur avevo visto un altarino musulmano con offerte di fiori arancioni.
Può sembrare un pastrocchio e non so come i religiosi legati alla tradizione possano vedere queste manifestazioni, ma forse è meglio chiudere un occhio e accettare queste contaminazioni piuttosto che fare loro guerra. Non credo che sant'antonio se ne abbia a male
Prima di rientrare in spiaggia, vedo questo simpatico accrocchio sincretico. Una madonna con sant'antonio e un'omino che li onora in pieno stile induista.
Così come a Jodhpur avevo visto un altarino musulmano con offerte di fiori arancioni.
Può sembrare un pastrocchio e non so come i religiosi legati alla tradizione possano vedere queste manifestazioni, ma forse è meglio chiudere un occhio e accettare queste contaminazioni piuttosto che fare loro guerra. Non credo che sant'antonio se ne abbia a male
Torno indietro e ripercorro la lunga spiaggia.
Tanto sole, tanti bagni. Quasi arrivata, mi fermo su un lettino in una zona ancora abbastanza isolata. Prendo un bel succo di frutta, una macedonia e poi mi addormento come un sasso. Però un sasso massaggiato dal vento che oggi soffia da ovest.
Tanto sole, tanti bagni. Quasi arrivata, mi fermo su un lettino in una zona ancora abbastanza isolata. Prendo un bel succo di frutta, una macedonia e poi mi addormento come un sasso. Però un sasso massaggiato dal vento che oggi soffia da ovest.
Mi sveglio e scopro di essere circondata da russi. Penso alle poche parole che conosco di russo, tutte derivate dall’epoca Gorbaciov e molto poco adatte ad un qualsiasi dialogo. Al massimo potrei dire che il costume bagnato è glasnost, ma vabbè. Tra i russi ci sono alcuni ragazzotti che non mi sono molto simpatici, capisco dal loro modo di fare che prendono un po’ in giro il cameriere e gli indiani in genere.
Il cameriere si chiama Lama e anche lui, come tanti in questa zona, viene dal nord dell’india. Che ci fa a goa? Mi spiega che dalle sue parti ora è inverno e per lui, che fa la guida in montagna, non c’è lavoro. Così fa sei mesi al sud e sei mesi al nord. Che poi la sua famiglia è nepalese, di boudanath, dove ho visto il grande ed emozionante stupa bianco.
Mi chiede che lavoro faccio, se lavoro con i bambini. In fondo non ci è andato lontanissimo. Mi chiede anche se mi piace il mio lavoro. Il suo gli piace, sono quindici anni che lo fa ed è felice. Gli piace variare dal mare alla montagna, anche se preferisce la seconda visto che è nato lì. Ci salutiamo augurandoci reciprocamente buona fortuna.
Sulla via di casa tutta Arambol è assemblata davanti ad un grande incendio che ha colpito un ristorante. Il tetto in paglia è completamente andato fuoco, ma sono riusciti a salvare i tavoli e le sedie. Quando arrivo io ci sono solo quattro ragazzi con dei secchi in mano, di cui due sono turisti. Immaginavo in una maggiore rete di solidarietà tra i locali, invece il grosso delle persone sta a guardare.
Il ragazzo russo antipatico di prima ha subito alluso a problemi di pizzo e ritorsioni. Non lo so, certo che ora quel ristorante starà fermo per mesi.
Stanca, accaldata e sporca arrivo a casa, ma prima scopro di aver perso le chiavi. Nell’attesa che il proprietario – che non ha una copia – apra il lucchetto con una lima, faccio conoscenza del mio vicino israeliano. Un bel ragazzone, non c’è che dire, però con una certa aria di distacco e di superiorità, anche se in qualche modo ha cercato di aiutarmi in questa situazione. Stamattina ho incrociato il suo compagno di stanza mentre pregava con le braccia attorcigliate da un nastro nero e in testa non so cosa (pensavo fosse una lampada frontale, ma non credo proprio). In ogni caso l’israeliano domani parte, come me, ma va in nuova zelanda per tre mesi. Ho schiumato d’invidia e credo che l’abbia capito.
Per finire, a causa dell’incendio, tutta Arambol è senza corrente non si sa fino a quando. Questo vuol dire niente internet e ora che ci penso niente antizanzare elettrico nella mia stanza, ma ad essere ottimisti vuole anche dire niente amplificazione nel ristorantino di pesce. Allora forse ci torno.
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