Mi sveglio verso le otto perché il mio sonno è disturbato dal canto insistente degli uccelli. Scendo a fare colazione e conosco un napoletano che anni fa ha avuto un grosso incidente e ora usa i soldi dell’assicurazione per viaggiare. E’ appena arrivato a Goa da Mosca, consigliato da amici russi che lo raggiungeranno tra un paio di settimane. Non posso invidiare una persona che è rimasta in ospedale per mesi, ma lasciatemi invidiare una persona che può viaggiare senza problemi.
Compro un pareo e dopo due passi sono in spiaggia. Come in italia, anche qui è pieno di “lidi” ma in versione ridotta. Non hanno in gestione un pezzo di spiaggia, ma piuttosto sono dei bar che forniscono il servizio lettino e ombrellone. I lettini sono su un’unica fila, a pochi metri dalla battigia. La spiaggia non è particolarmente larga, diciamo il giusto per far convivere lettini, passanti, venditori e cani, senza creare sensazione di soffocamento.
Neanche in questo pezzo di india così rilassante si è al riparo dai negozianti e visto che da spaparanzata passa anche la voglia di muoversi, sono loro a farmi visita.
Diversamente da altrove, qui sono le donne a commerciare. Dopo la seconda capisco il loro repertorio di moìne e di frasi per addolcire il turista che con quattro euro può far felice una giovane ragazza già madre di due bambini. Alla fine diventa una cosa a metà tra il commerciante che cerca di venderti qualsiasi cosa abbia una proprietà spaziale e il ragazzino che appena il risciò rallenta chiede qualche rupia. Il tutto condito da complimenti sulla mia bella pelle bianca, che lei vorrebbe tanto, ed espressioni da cucciolo ferito se gioco al ribasso per ottenere uno sconto. La frase chiave è “ma tu così spezzi il mio piccolo cuore!”.
In ogni caso, venditrici a parte, la seconda cosa notevole è il fenomeno per cui noi donne occidentali possiamo metterci in costume in spiaggia, anche se circondate da indiani.
Magari gli sguardi più insistenti provengono dalle vecchie generazioni, ma anche per i giovani siamo un po’ quello che le svedesi dovevano essere agli occhi dei bagnini italiani anni sessanta. Tutto si svolge senza l’insistenza da venditore. Diciamo che l’offerta è chiara, ecco.
L’oceano - l’aveva detto mia mamma! – è caldo, roba che neanche io faccio fatica ad entrarci. E quando sei dentro non hai neanche motivo per fare qualche bracciata. Si sta bene così.
Il che un po’ corrisponde alla mia sensazione complessiva in questo posto. Perché fare qualcosa? Sento le mie onde celebrali avvicinarsi a quelle dello stato di sonno, anche se sono sveglia. Non faccio nulla, eppure riesco a farlo per ore.
La mia quiete ad un certo punto è interrotta da un gruppo di burini indiani che, fortunella, chiedono i lettini vicini al mio. Per dirla tutta, un paio di loro non hanno neanche il costume ma fanno il bagno direttamente in mutande.
Proprio quello dalle mutande bianche, che spero di non dover vedere quando salirà dall’acqua, attacca bottone con me. Mi offre birra e patatine fritte, ma declino preferendo qualcosa tipo questa, una saporitissima macedonia di frutta locale.
E questa invece è una rapida veduta complessiva della mia postazione per tutta la giornata, tranne una pausa nelle ore più calde.
(si, è lui...)
La sera torno al ristorante di ieri, ma l’atmosfera è disturbata da fastidiosa musica da discoteca. I ragazzotti sono di più, capisco che li attiri. Prendo un pesce strano il cui nome non ho capito e un po’ di mix di gamberoni, però mangio in fretta per andarmene.
Finita la cena, a nanna. Domattina voglio alzarmi presto.
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