lunedì 14 novembre 2011

Jodhpur-Arambol

Nonostante la stanchezza, passo un’altra notte di scarso sonno. Alle cinque si ripete il rituale alla porta di una stanza accanto, ma stavolta capisco che è il proprietario dell’albergo che sveglia i suoi giovani aiutanti. Loro se la prendono comoda e lui sveglia mezzo mondo.
Resto lo stesso a letto fino ad un’ora ragionevole, poi su in terrazza a fare una abbondante colazione. Ormai è l’unico pasto che riesco a fare senza problemi. Thè nero, succo d’arancia e toast con la marmellata. Poi finisco di chiudere lo zaino, saldo il conto e via verso l’aeroporto.
I ragazzi dell’hotel mi propongono di chiamare un taxi, ma non ho fretta e propendo per un più economico autorisciò (tuk-tuk in gergo, probabilmente per il rumore del motore)
Il mio tuk tuk è del tipo che ho visto solo a jodhpur, più barocco della solita ape modificata. Ha delle colonnine ritorte color argento e gli interni sono in bianco e nero. Sopra il parabrezza c’è anche  lo spazio per le foto di famiglia del conducente. Ovviamente il tutto con almeno 15 anni di usura.
L’aeroporto di Jodhpur è piccolo, sembra una stazioncina italiana, ma i controlli sono molti come sempre. Dimentico sempre che quando c’è da fare un fila è divisa tra uomini e donne, ma per fortuna un signore me lo fa notare e così faccio un gran balzo in avanti. Il tempo risparmiato lo passo cercando un posto a sedere lontano da ventilatori e getti d’aria condizionata. La mia pancia continua a non essere a posto. Niente di esagerato, ma cerco distare attenta per non peggiorare la situazione.
Imbarco, volo jodhpur-mumbai, finalmente servono il pranzo. Quello che prima era un momento di curiosità, ora si è trasformato in un piccolo tormento. Scartare il cibo e annusarlo temendo che l’odore faccia chiudere lo stomaco. Così è infatti, riesco a mangiare solo una mousse dolce. Il mio vicino di posto, un omone grosso e dalla voce gentile, se ne accorge e ordina per me, a mia insaputa, della frutta fresca. Quella si che va bene! 
Scalo a Mumbai, resisto alla tentazione di un caffè o simili e passo il tempo con la connessione free dell’aeroporto. Poi finalmente arriva il momento dell’imbarco e si riparte.

Notare il giornale messo dietro al vetro per fare ombra nella cabina di volo…
Quando, dopo un’oretta, ci avviciniamo a Goa, questa specie di California indiana, c’è una forte foschia e resto un po’ delusa. Scesa dall’aereo la situazione – ovviamente – non cambia. Il sole del tramonto è ricoperto da un fitto velo di umidità, niente tramonto rosso da cartolina.
Il taxi mi costa un po’, ma in effetti il viaggio è lungo. Sto andando ad Arambol, piccolo centro che mi ha consigliato un’amica, non sono alla ricerca di feste o rave, voglio solo (?) mare e tranquillità.
Ad arambol ho anche un contatto, così com’era stato per Varanasi. Si chiama Ash ed è un bel ragazzone del posto, mix tra sangue indiano e sangue portoghese.
Ash è molto gentile, parla al telefono con il mio autista e mi viene a prendere con la macchina. Pensavo fossimo arrivati, invece la strada è ancora lunga, ma è un bel vedere, tra case basse e tanto verde. L’aria è umida e fresca di vegetazione.
Arrivati in paese che è notte, Ash mi porta da “l’amico suo” che mi affitta una stanza a due passi dal mare ad un buon prezzo. A quel punto preferisco anche rimandare la doccia pur di andare a mangiare qualcosa di  -si spera – buono.
Dopo cinque minuti da quando ho posato gli zaini, mi trovo seduta in riva al mare, con un buon profumo di pesce grigliato che proviene dalla mia sinistra. Ordino un succo di ananas e al primo sorso non riesco a credere al mio palato. E’ buonissimo, dolce e vellutato. Assaporando la mia bibita aspetto con piacere la cena. Ho ordinato un mix di gamberoni (ce ne sono di tre qualità) e poi una specie di gamberone tigrato gigante.
Arrivano dopo un po’, su un vassoio con patate, riso e altre verdure crude. Il pesce è buonissimo, aromatizzato con un olio lievemente piccante, ma non fastidioso per il mio povero stomaco.
E così, per la prima volta dopo forse una settimana, mangio senza problemi qualcosa che non sia dolce. Assaporo i miei fraganti gamberoni mentre davanti a me distinguo a malapena il mare, aiutata solo dal biancore della spuma ed al suono dalla risacca.

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