Stanotte ho sognato Caparezza, tanto per dire quanto resta appiccicata addosso la propria cultura. Da questo sogno in cui noi flirtavamo mi sono destata prima ancora della sveglia a causa dei rumori della città che si animava. Con calma sono scesa finalmente a fare colazione come le persone sane, poi ho sistemato lo zainone e sono andata a saldare il conto. Purtroppo le mie carte di credito non hanno funzionato neanche questa volta, ma avevo il contante e non ci sono stati problemi.
In strada il solito caos, ma in dimensione cittadina. Per la prima volta ho preso un autorisciò taxi, con tanto di tassametro e mi sono quasi commossa quando siamo arrivati alla stazione e ho visto che segnava neanche 10 rupie. Poi il conducente ha preso una tabella e mi ha fatto vedere il corrispettivo per gli stranieri: 37 rupie. Circa quattro volte tanto. Ma vabbè, sarebbero 50 centesimi.
Arrivato il treno, ho trovato il mio nome su un tabulato affisso sulla parete esterna del vagone, insieme a quello di tante altre persone. Mi ha fatto un po' strano.
Sul treno tutto bene, ormai lo prendo senza problemi e mi diverte appollaiarmi sul piano alto, sdraiarmi e guardarmi attorno. Poi finalente un viaggio diurno, con tanta bella luce. Ho sete, ma mi impongo di non bere fino all'albergo, come si fa con gli animali in viaggio. So che è meglio così.
Circa a metà viaggio un paio di uomini si sono messi a catare e suonare. Ho pensato: saranno viaggiatori, pellegrini, un po' come quando uno suona la chitarra ad un falò.
No, hanno chiesto dei soldi.
Però è stata la prima musica spontanea e dal vivo che ho sentito in india, a parte la ballerina trans di delhi. Immaginavo che l'india ne fosse più inondata.
Scesa a Ajmer, sotto un sole severo e con lo stomaco non proprio allegro, trovare un bus è stata una piccola impresa, anche perchè sono sparite tutto d'un tratto le scritte in inglese.
Dopo l'aiuto truffa di un autorisciò il cui conducente si è impegnato tanto ad accordarsi sul prezzo, ma meno per spiegarmi dove mi avrebbe lasciata, mi sono trovata nel mezzo di una affollata stazione degli autobus.
Caldo, ressa, confusione. Nessuna scritta in inglese. I pulman stracarichi e non sapevo dove avrei potuto infilare il mio zainone. Davanti allo sportello per il biglietto, la fila è immobile. Non si avanza si un millimetro, al massimo qualcuno spinge o prova a fare il furbo passando avanti.
Caldo.
Una signora francese, spuntata come un fungo all'improvviso, mi chiede se volgio condividere con lei un taxi. al volo scambio l'idea con le due coreane davanti a me e nel taxi siamo in 5.
Arriva l'autista e ci propone il taxi per 600 rupie.
Ora, tra tutti noi chi conosce peggio l'inglese sono io, ma tutti fanno un passo indietro per la contrattazione e tocca a me, l'italiana.
Come da copione.
Il tipo scende a 500 rupie e, stipati in un piccolo mezzo, si parte.
Il paesaggio è molto arido, scarsa e bassa vegetazione, poche costruzioni, curve a gomito che i pullman fanno fatica a superare.
Finalmente a Pushkar, quello che trovo è davvero un altro mondo. Sotto i piedi una terra sottilissima, forse sabbia. Templi bianchi ovunque, musica rituale sparata dagli altoparlanti.
Cammino accaldata e con lo stomaco in subbuglio finchè arrivo al mio hotel. Oasis, si chiama, in effetti lo vedo come un'oasi, un porto. Abbandono gli zaini e attendo la registrazione.
Nell'attesa chiedo una bibita fredda, azzardo una sprite, ma dopo pochi sorsi il mio stomaco la rifiuta.
La stanza è...una stanza indiana. Mi costa più della media, ma non avevo proprio voglia di sbattermi alla ricerca di un hotel e ancora penso di aver fatto bene.
Ho dato qualche secchiata a terra in bagno per sciacquare via la povere che è ovunque. Ho bevuto acqua a temperatura ambiente, la sprite mi guarda sconsolata mentre si riscalda.
Dalla finestra del bagno c'è la guglia di non so che edificio, tutt'attorno poche cotruzioni e aridità.
Nell'albergo c'è una piscina dall'acqua azzurra, ma poco attraente, eppure proprio ora sento che dei ragazzi si stanno tuffando. Se domani li vedrò in giro magari una rinfrescata la farò anche io.
La polvere è ovunque, più che mai.
Ma anche la luce.
In strada il solito caos, ma in dimensione cittadina. Per la prima volta ho preso un autorisciò taxi, con tanto di tassametro e mi sono quasi commossa quando siamo arrivati alla stazione e ho visto che segnava neanche 10 rupie. Poi il conducente ha preso una tabella e mi ha fatto vedere il corrispettivo per gli stranieri: 37 rupie. Circa quattro volte tanto. Ma vabbè, sarebbero 50 centesimi.
Arrivato il treno, ho trovato il mio nome su un tabulato affisso sulla parete esterna del vagone, insieme a quello di tante altre persone. Mi ha fatto un po' strano.
Sul treno tutto bene, ormai lo prendo senza problemi e mi diverte appollaiarmi sul piano alto, sdraiarmi e guardarmi attorno. Poi finalente un viaggio diurno, con tanta bella luce. Ho sete, ma mi impongo di non bere fino all'albergo, come si fa con gli animali in viaggio. So che è meglio così.
Circa a metà viaggio un paio di uomini si sono messi a catare e suonare. Ho pensato: saranno viaggiatori, pellegrini, un po' come quando uno suona la chitarra ad un falò.
No, hanno chiesto dei soldi.
Però è stata la prima musica spontanea e dal vivo che ho sentito in india, a parte la ballerina trans di delhi. Immaginavo che l'india ne fosse più inondata.
Scesa a Ajmer, sotto un sole severo e con lo stomaco non proprio allegro, trovare un bus è stata una piccola impresa, anche perchè sono sparite tutto d'un tratto le scritte in inglese.
Dopo l'aiuto truffa di un autorisciò il cui conducente si è impegnato tanto ad accordarsi sul prezzo, ma meno per spiegarmi dove mi avrebbe lasciata, mi sono trovata nel mezzo di una affollata stazione degli autobus.
Caldo, ressa, confusione. Nessuna scritta in inglese. I pulman stracarichi e non sapevo dove avrei potuto infilare il mio zainone. Davanti allo sportello per il biglietto, la fila è immobile. Non si avanza si un millimetro, al massimo qualcuno spinge o prova a fare il furbo passando avanti.
Caldo.
Una signora francese, spuntata come un fungo all'improvviso, mi chiede se volgio condividere con lei un taxi. al volo scambio l'idea con le due coreane davanti a me e nel taxi siamo in 5.
Arriva l'autista e ci propone il taxi per 600 rupie.
Ora, tra tutti noi chi conosce peggio l'inglese sono io, ma tutti fanno un passo indietro per la contrattazione e tocca a me, l'italiana.
Come da copione.
Il tipo scende a 500 rupie e, stipati in un piccolo mezzo, si parte.
Il paesaggio è molto arido, scarsa e bassa vegetazione, poche costruzioni, curve a gomito che i pullman fanno fatica a superare.
Finalmente a Pushkar, quello che trovo è davvero un altro mondo. Sotto i piedi una terra sottilissima, forse sabbia. Templi bianchi ovunque, musica rituale sparata dagli altoparlanti.
Cammino accaldata e con lo stomaco in subbuglio finchè arrivo al mio hotel. Oasis, si chiama, in effetti lo vedo come un'oasi, un porto. Abbandono gli zaini e attendo la registrazione.
Nell'attesa chiedo una bibita fredda, azzardo una sprite, ma dopo pochi sorsi il mio stomaco la rifiuta.
La stanza è...una stanza indiana. Mi costa più della media, ma non avevo proprio voglia di sbattermi alla ricerca di un hotel e ancora penso di aver fatto bene.
Ho dato qualche secchiata a terra in bagno per sciacquare via la povere che è ovunque. Ho bevuto acqua a temperatura ambiente, la sprite mi guarda sconsolata mentre si riscalda.
Dalla finestra del bagno c'è la guglia di non so che edificio, tutt'attorno poche cotruzioni e aridità.
Nell'albergo c'è una piscina dall'acqua azzurra, ma poco attraente, eppure proprio ora sento che dei ragazzi si stanno tuffando. Se domani li vedrò in giro magari una rinfrescata la farò anche io.
La polvere è ovunque, più che mai.
Ma anche la luce.
Nessun commento:
Posta un commento