domenica 30 ottobre 2011

Ciao ciao Varanasi

Il giorno del giro in barca sul gange mi vedeva poi "impegnata" con un appuntamento, un pranzo con le stidentesse italiane e i loro amici. Il ristorante era proprio difronte al mio hotel, quindi ho potuto riposare tranquillamente e riprendermi dalla levataccia.
Eravamo una dozzina di italiani tra cui un paio di ragazzi ormai fissi in pianta stabile a varanasi per studiare uno strumento. Uno di loro due in italia faceva l'educatore, ma ha lasciato tutto per seguire la sua passione.
Altri invece erano dipassaggio, nel mezzo di un viaggio veramente lungo, qualcosa come tre mesi tra india e thailandia. Insomma.
L'atmosfera era molto rilassata, seduti a terra sui grossi cuscini abbiamo fatto un po' di chiacchiere finchè la luce è diventata dorata facendo capire che era il momento di iniziare la seconda parte della giornata.
Salutati tutti, ho preso un risciò e mi sono fatta accompagnare nella parte vecchia della città. Sono scesa all'altezza di un incrocio davvero caotico e polveroso dove si faceva fatica anche ad attraversare la strada.
Mi è subito passata la voglia di gironzolare in quella zona così mi sono diretta al ghat. La strada per raggiungerlo era a misura di turista e pellegrino, nel senso che era zeppa di negozietti e bancarelle. Ho comprato tre braccialetti super economici di solo metallo e da allora mi tintinnano al polso.
Il ghat come era pieno di vita ma la vista del fiume rendeva anche possibile crearsi un po' di tranquillità, per lo meno mentale. Dopo aver posato per non so quante foto con famiglie e ragazzini indiani, aver schivato un santone e essermi fatta fregare da una donnina che vendeva candeline, mi sono fermata vicino ad una piattaforma di legno sulla quale un ragazzo vendeva altre candeline galleggianti.
Ancora inviti da declinare - giro in barca, cartoline, polverine, tè ecc...- ho fatto amicizia col ragazzo delle candele e l'ho anche aiutato ad assembarle per la vendita.
Sciolto il ghiaccio siamo stati parecchio a chiacchierare, nonostante il mio inglese lui è stato molto paziente e davvero mi sembrava di riuscire a comunicare.
Ad un certo punti gli ho detto: bello il gange, ma è un po' sporchino!
e lui: non è sporco, è sacro!

Il ghat si è riempito sempre più e tante persone sono salite sulle barche ancorate poco distante perchè da lì a poco sarebbe iniziato uno spettacolare rito, una preghiera del tramonto molto coreografica.

Sette officianti allineati di fronte alla riva, con una preghiera cantata in sottofondo, hanno fatto fumigazioni di incenso e manovre varie con diversi oggetti verso le quattro direzioni. Il tutto sarà durato un'oretta.
Bello.


Infine risciò fino a casa.

venerdì 28 ottobre 2011

Ieri - Varanasi x 4

Ieri era il giorno del mio tour con autista. 1000 rupie per il signore coi baffi che mi avrebbe scortata in 4 posti nei paraggi di Varanasi, posti che ignoravo e che mi ha consigliato sempre il mio aggancio in città, quello della cena a casa sua.
Bene, l'autista arriva con mezz'ora di ritardo, ma non è un problema, non ho nulla da vedere all'alba.

Sarnath



La prima tappa è Sarnath, un luogo molto importante perchè è dove Buddha ha fatto il suo primo discorso ai discepoli dettando le norme principali del pensiero buddista. Non sono molto preparata in buddismo, quel che sapevo l'ho dimenticato, in ogni caso in questo primo discorso doveva esserci un riferimento alla ruota del karma e in effetti ovunque ci sono raffigurazioni di "ruote".
Il tempio è decorato con dipinti che narrano la vita di Buddha, dipinti moderni e non particolarmente interessanti. Al''esterno c'è l'albero del famoso primo discorso con le statue enormi di buddha e i suoi discepoli. Stranamente niente rulli.

Ma la parte più interessante è alle spalle, dove c'è un enorme sito archeologico con i resti dei primi monasteri buddisti, il tutto sovrastato da un enorme stupa, una protostupa forse, di cui restano solo i mattoni grezzi e scarsi segni della copertura decorativa.


Tra gli scavi, c'è anche un tempio dove si dice che buddha meditasse, ma insomma, è tutto un fiorire di "si dice" e "sembra".

In ogni caso il tutto confina con un parco naturale, c'è molta quiete, è tutto uno svolazzare di libellule e farfalle ed è perfettamente naturale vedere all'ombra degli alberi gente che medita o studia.
Ovviamente è pieno di turisti di ogni nazione, alcune sono proprio comitive in pellegrinaggio con tanto di caposquadra che canta al megafono.
Però i buddisti sono sempre i migliori, sorridenti e pacati.

Sempre lì vicino c'è un tempio gianista, ovviamente sono andata a dare uno sguardo. Anche qui ho dovuto togliermi le scarpe e in più mi è stato richiesto di lavarmi mani e bocca, sempre se ho capito bene l'inglese, ma penso di si. A dirmelo è stato il custode, un uomo gentile che poi all'interno del tempio mi ha fatto vedere foto di lui con non so quale grande esponenete della sua religione. I gianisti sono quelli famosi perchè girano nudi o meglio vestiti di spazio, come mi ha detto una torinese l'altra sera.


Mi ha dato anche una piccola stuoia per sedermi nel tempio, tante carinerie per le quali mi è stata poi richiesta un'offerta libera.
Il tempio era coi lavori in corso, stavano finendo le decorazioni e c'era un'impalcatura in bambù tutt'intorno alle pareti interne. Atmosfera un po' freddina, ma silenziosa e discreta.
Infine ho visitato il museo archeologico. Dopo aver depositato lo zaino e aver superato il metal detector, sono entrata nella sala centrale. La struttura è a forma di C con due ali laterali. Belle sculture, interessanti, c'è anche il capitello originale coi quattro leoni che una volta capeggiava l'area archologica. Ma questi indiani hanno saputo creare un'atmosfera speciale nell'ala di sinistra. C'è un lungo corridoio con sculture sui due lati e una musica tradizionale indiana in sottofondo. In fondo al corridoio, una grande statua di buddha, conservata benissimo e illuminata splendidamente. Avvicinandosi anche la musica diventa più forte e coinvolgente e quando si è vicini alla statua l'impatto è forte. Quella statua e il suo allestimento vale da sola la visita del museo.

Ramnagar fort

Come dice il nome, Ramnagar è un forte militare ormai in disuso (? credo, ma dei militari presenziavano e non mi hanno fatta andare al di fuori della zona turistica). Si respira l'aria del colonialismo ma ancora di più della successiva decadenza.


Alcune grosse stanze sono adibite a museo di oggetti vari: armi, tessuti, animali impagliati e anhce qualche orlogia da tavolo barocco andante.
Le collezioni sono conservate malissimo, i tessuti sono macchiati di muffa, e sfrangiati, gli animali impagliati sono lasciati andare verso la naturale decomposizione dei tessuti tanto che sembrano morti due volte. Morti dalla vita e morti dal trattamento che avrebbe dovuto preservarli. Ho fatto una foto col cellulare di due teste di tigri tristemente consumate, ma non posso pubblicarle.

Zona universitaria e tempio induista annesso
La zona universitaria è enorme, percorsa da strade larghe e alberate. Molto tranquilla e silenziosa, al suo interno c'è un tempio induista di cui dovrei ricercare il nome. Stranamente mi hanno permesso di entrare chiedendomi solo di togliermi le scarpe. Il tempio è ampio e arioso, disposto su due piani e circondato da un giardino molto curato. Ha tutta l'aria del luogo da scampagnata della domenica e infatti ci sono famigliole coi ragazzini e studenti sdraiati sul prato. Dal piano superiore si diffonde la musica e il canto di un anziano signore che seduto su un tappeto suona uno strumento tipico (altro nome da ricercare). E' cieco ed è accompagnato da un ragazzino che dorme durante l'esecuzione, come in un vecchio racconto indiano.
Al piano terra all'estremità dei corridoi ci sono stanze dedicate a varie divinità. Mi affaccio per curiosare in una e subito un religioso mi si avvicina per segnarmi di arancione la fronte. Non me l'aspettavo! Mi sono chiesta se avrei avuto una visione come la protagonista di Holy smoke. No, nessuna visione, ma altrettanto velocemente che nel mettermi il dito in fronte, il santo uomo mi ha chiesto una donazione. Quanto? Una donazione, mi ha risposto lui, abbassando gli occhi con la timidezza di una cerbiatta.


Nella stanza principale del primo piano c'era immagino il fulcro del culto, una scultura con yoni e lingam sovrastati da una specie di serpente da cui scendeva lentamente acqua. L'acqua bagnava entrambi i simboli per poi scendere verso il basso, dove veniva raccolta dai fedeli e usata per bagnarsi il capo.

Dopo essermi rilassata un po' nel giardino, mi sono accorta di non avere più il mio cellulare. Ho sperato di ritrovarlo in macchina, ma nulla. Perso o rubato poco importa, ora non è più con me.
Questa cosa del cellulare mi ha rovinato buona parte del pomeriggio. Penso che se lo avessi perso in italia non avrei preso così male la cosa. Forse è perchè il cellulare, come il computer, rappresenta un po' il mio mondo, le cose che mi definiscono e che ho qui con me.
I buddisti direbbero che è un bene che l'abbia perso.

Santkatmochan
Qui è proibito fare foto, quindi mi spiace ma non ho nulla da mostrare.
Santkamothan è un tempio induista dedicato ad Hanuman, il dio scimmia ed è davvero pieno di scimmie.
Appena si entra si è subito assaliti dalla confusione, ma non di individui quanto di forme e odori. Alberi e un piccolo portico in cui si vendono dolci, una marea di mosche e nell'aria l'odore di latte vecchio. Nella struttura più sacra un sacerdote distribuisce l'acqua di un pozzo a cui la tradizione attribuisce particolari virtù, anche se non è propriamente salutare berla. Ovviamente la bevono tutti.
Le colonne intorno sono così segnate dalle plverine colorate da aver perso la definizione delle loro scanalature. Tutto è rosso e arancione.
Mentre sono ferma ad osservare una scimmia (e la sua ferita sulla zampa) passa il ragazzino scugnizzo dell'altro giorno. Mi saluta e io impiego un po' di tempo a riconoscerlo. E' solare, accompagna una ragazza cinese e mi chiede di andare con lui ripetendomi "no money, no money!". Gli accarezzo una spalla, gli spiego che ho il taxi che mi aspetta e vado via.

giovedì 27 ottobre 2011

Alba sul Gange

Sto scrivendo sempre con un giorno di distanza dagli eventi, ma oggi farò un eccezione e parlerò della giornata di ieri più tardi.
Sono seduta al tavolone della colazione-pranzo-cena (con la tovaglia che non si cambia mai) e aspetto il mio pancake.

Stamattina mi sono svegliata molto presto, prima dell'alba e sono andata al ghat qui vicino a cercare una barca. Ovviamente non ero l'unica così ho trovato altri tre ragazzi e il costo del biglietto si è abbassato, tanto che non ho avuto neanche voglia di contrattare.
Siamo saliti in barca e senza tanta fatica, vista la corrente a favore, il nostro percorso ha avuto inizio.
Era ancora buio ma già parecchie persone facevano lo loro abluzioni nel fiume. All'inizio non sai bene cosa guardare: la luce, la foschia, cosa fanno in acqua queste persone, le tante barche dei turisti nel fiume, le costruzioni bellissime, le costruzioni a pezzi. E' un caos di impressioni mentre mollemente la barca scivola verso nord.




Il Gange dà l'impressione di essere davvero sporco ma da quello che ho letto non è solo un'impressione. E vedere che uomini, donne e bambini in quell'acqua si lavano il corpo, i denti e poi la bevono anche, fa un po' rabbrividire.


Accanto all'uomo che in acqua si lava il naso e sputa ce n'è un altro che tranquillamente si lava il viso. Più in là stanno cremando un corpo e tra qualche ora ciò che ne resta sarà anche lui in acqua.
Il viaggio d'andata, così comodo per il nostro barcaiolo, è invece scomodo per la mia testa occidentale.
Poi si torna indietro e lì comincia il lavoro dell'indiano ai remi.
In realtà noi abbiamo fatto il giro opposto a quello che fanno in genere i turisti visto che i più partono dai ghat a nord. Questo vuol dire che superata la metà del "circuito" la calca delle barche è calata di molto.

In un ghat stavano preparando una salma per la cremazione. Era una donna di non so dire quanti anni. Nè giovane nè vecchia. Mentre la pira cominciava a fumeggiare, l'avevano adagiata vicino all'acqua e ne avevano ricoperto il corpo con veli dorati. Solo il viso era in vista e i presenti a turno lo bagnavano con acqua del fiume. Quella stessa acqua ora le purificava il corpo.
Ecco, forse questa è stata la chiave di volta. La compresenza di sacro e immondo, un dualismo che in realtà non c'è perchè entrambi gli attributi sono fusi insieme.
Il fiume da, il fiume prende. Ma non sono due momenti diversi, due aspetti. Sono solo due azioni che gli umani possono cogliere di un'unica grande entità qual è il gange.
Certo, a livello pragmatico, il sovrapopolamento e la carenza -ad esempio- di depuratori ha creato la situazione disastrosa attuale per il fiume, quello fatto d'acqua. Ma per il fiume fatto d'idea, di fede, il discorso è diverso.
Certo sarebbe bello se i due piani -ideale e reale- coincidessero e quell'acqua fosse preservata, se la fauna fosse tutelata, ma così non è, ma non lo facciamo neanche noi che abbiamo le analisi chimiche dei nostri fiumi davanti agli occhi.
In ogni caso, abbiamo lasciato il ghat della cremazione alle nostre spalle mentre il barcaiolo ora sbuffava vistosamente, probabilmente sperando di suscitare una mancia extra. Tutt'attorno era scesa la quiete, una godibilissma quiete.


Il sole abbastanza alto da scaldarci, pochi turisti in giro, i "bagnanti" che ci salutavano immersi nell'acqua. Signore che si bagnavano insieme, sorridenti e curiose verso noi turisti, bambini che non volevano bagnarsi e mamme spazientite.




Durante un momento di particolare impegno il barcaiolo mi ha schizzata con un remo. Mi sono trovata con l'acqua del gange su un braccio e l'ho lasciata stare.
Dai ghat, parecchie persone si stavano lavando i denti, c'era chi si insaponava, c'era chi si lavava i vestiti, c'era chi si asciugava. Li vedevo davvero freschi e puliti, c'era un aria di lindore che si sprigionava da loro.

Ormai "battezzata", ho lasciato scivolare alcune dita nel fiume.
Era caldo e ho smesso di fare foto.

Diwali

La mattina è cominciata abbastanza tardi. Dopo colazione, sono uscita per fare due passi e guardarmi intorno. Solita atmosfera indiana d'afa e polvere, però molto distesa. Si, c'è sempre un abuso di clacson e il traffico è molto scomposto, però la gente per strada è calma. In sintonia col lento ondeggiare delle mucche.

Scopro che il mio hotel è letterlamente a due passi dall'assi ghat, il ghat più a sud di varanasi. Il ghat è semplicemente un accesso al fiume gange ("ganga" dicono qui). Così lo vedo, questo famoso fiume.
E' largo e scorre lento, mentre sulla riva è il solito baccano di venditori, mendicanti, religiosi e turisti.


Poi mi inoltro nelle viuzze in cerca di un rivenditore di sim card. Lo trovo ed è molto gentile, mi aiuta e mi spiega con calma la situazione. Con noi c'è un ragazzino che lui dice essere un suo fratellino. Appena mi allontano dal chioschetto il ragazzino mi segue e cerca un modo per essermi utile. Ossia un modo per guadagnarsi qualche rupia.
Eccolo il classico "scugnizzo indiano", sbruffoncello ma simpatico. Ci sa fare. Fa la faccia triste se gli do poche rupie, fa il galante offrendomi un tè, si prende spazio inventandosi un ruolo.
Una volta che mi ha aiutata con le mie piccole commissioni, tra cui prendere dei dolci per la cena a cui sono invitata, ci salutiamo e io torno in hotel. Insieme ad un gran mal di testa.

Mi sveglio solo a metà pomeriggio, il tempo per darmi una sistemata e prendere il risciò fino alla casa in cui sarò ospite. Si tratta della famiglia del mio aggancio di varanasi. Arrivo con una mezz'ora di ritardo...ma un'ora di anticipo allo stesso momento, perchè niente è pronto e i padroni di casa sono occupati con non so bene quale preghiera induista.
In quella casa sono ospiti da un mese alcune ragazze torinesi. Non che muoia dalla voglia di stare con italiani, ma effettivamente riuscire a dire una frase di senso compiuto mi mancava.
Nel terrazzo di casa le figlie dei proprietari hanno decorato a terra con la polverina colorata (mi manca il nome specifico) disegnando un grande fiore e tutti ci occupiamo dell'accensione dei lumini. La stessa cosa accade in tutte le case: è il diwali, una festa molto sentita in india. In tutte le case lumini, disegni a terra, file di lampadine e sparii che andranno avanti per tutta la notte.



Infine andiamo a cena. Le torinesi mi spiegano che quello che sto mangiando è sicuramente il piatto della festa, perchè in un mese a loro è stato proposto cibo molto più semplice ed economico. Non mi sembrano completamente soddisfatte del loro padrone di casa, ma ormai hanno finito il loro tirocinio in india.
Dopo un po' di chiacchiere ci salutiamo e torno a casa in risciò, sotto i fuochi di Varanasi.

martedì 25 ottobre 2011

Kathmanasi

Finalmente una mattina senza sveglia, anche se nell’albergo dalle sei in poi c’è una grande confusione di gente che va a scarpinare in montagna. Colazione con pancake buonissimo e succo di papaja e poi via a spendere gli ultimi soldi. Tornata in albergo ho sistemato lo zaino piegando benissimo le cose e per cercare di economizzare spazio e far imbarcare tutto senza problemi.
Ho chiesto al ragazzo il prezzo del loro taxi per l’aeroporto. Ovviamente ho dovuto contrattare ma alla fine  è sceso quasi della metà.  Ed erano comunque troppi, visto che mi ha fatta salire in macchina con altre persone per cui dietro ci stringevamo in quattro donne. Erano anche americane e sfottevano le situazioni nepalesi che vedevano dai finestrini. Chissà l’autista che pensava.
Avevo contrattato più per principio che per altro. Le rupie nepalesi non sono esportabili e nopn valeva neanche la pena di cambiare due euro scarse. Alla fine era diventato automatico contrattare solo per una questione di autostima, per non sentirmi (troppo) presa in giro. I soldi avanzati li ho dati ad una donna delle pulizie dell'areoporto.
Dopo innumerevoli controlli, un volo tranquillo ma con un pranzo a bordo stranamente misero, eccomi a Varanasi. India. Ma che dispiacere lasciare il Nepal!
India, cielo bianco o beige a seconda dei momenti, India polvere ovunque, India facce scure e meno orientali. Vabbè, ero arrivata.
Delhi non mi aveva segnata molto bene, ma ero pronta per ricominciare tutto daccapo.
Con una bellissima sensazione, ho trovato un cartello con su scritto il mio nome e ho incrociato lo sguardo dell’autista. Un faro! Lo raggiungo e salgo in macchina. Abbiamo attraversato campi e piccoli villaggi, l’aeroporto era lontano dalla città e impieghiamo circa un’ora.

Sempre India, però è diverso.
Arrivata in albergo, la stanza è un po’ angusta però è pulita e c’è tutto quello che mi serve, acqua calda compresa. Dopo la doccia crollo finchè non mi sveglia qualcuno che bussa alla mia porta. E’ il mio contatto di varanasi, un signore alto e magro che si offre di aiutarmi. Io sono davvero stonata, mi sento ancora a Kathmandu e non so da dove cominciare a Varanasi! Però lui non si scompone e mi propone un tour per dopodomani, mentre per domani mi ha invitata a casa sua a cena.
Proprio oggi è cominciata la festa del Diwali e tutte le case qui intorno sono illuminate con file di lampadine, un po’ come da noi a natale.
Io e il tipo ci salutiamo e, oramai sveglia, ne approfitto per scendere in strada e cercare una ricarica per il cellulare. E’ buio, a Delhi con il buio mi serravo in stanza perchè era proprio poco raccomandabile il mio quartiere. Qui sono pur sempre una delle poche donne in giro, ma l’aria non è frenetica, i negozi sono ancora tutti aperti e le vacche gironzolano qua e là. Niente ricarica, ma ho beccato un tipo che è arrivato in aereo con me, un allampanato frikkettone  che non riesco a collocare come nazionalità. Questo per me sta diventando un gioco, guardare una faccia e cercare di capire di dove sia.
Oggi ero in fila per non so quale degli infiniti controlli e guardavo i signori davanti a me. Spostando lo sguardo da un volto all’altro, più che tante persone mi sembrava di veder fluire innumerevoli varianti. I nasi cambiare forma, la pelle colore, i capelli consistenza, gli zigomi sporgenza. Giochi della natura.
Buonanotte.

Kathmandu city

I giorni sfuggono, sono ancora con 24 ore di arretrato in questo blog e ho problemi a caricare le foto.
In ogni caso,  ieri ho dedicato la giornata a Kathmandu vera e propria e sono andata nel centro storico della città, ossia Dourbar square.
Dourbar square
Ovviamente ho dovuto pagare un biglietto all’ingresso della via principale, comincio a chiedermi  se entrando da un vicoletto laterale avrei dovuto pagare lo stesso. Non so, non ho visto altri chioschetti per i biglietti, sono proprio io sfigata ad entrare sempre dalla strada principale.

Vabbè, in ogni caso, due grossi leoni sorvegliano l’ingresso alla grande piazza su cui si affacciano gli antichi palazzi come anche un enorme costruzione bianca, costruita dagli inglesi all’inizio del 1900 che ci sta come l’aceto nel tiramisù.

Dopo la grande piazza c’è un altro spiazzo accalcato da pagode (si, ho finalmente capito che i tempietti induisti si chiamano pagode…). Qui mi blocca una guida che dice- come tutte- di sapere l’italiano, ma alla fine mi chiede di parlare in inglese per potermi capire. Accetto contrattando sul prezzo e in effetti il suo aiuto mi è servito per avere tante informazioni che altrimenti avrei ignorato. Tipo che c’è la pagoda degli hippie, chiamata così perché nei bei tempi che furono vi si sedettero tanti frikkettoni e anche jimi Hendrix a farsi le canne. La marijuana era legale in nepal fino al 1970, poi si sono rovinati anche loro. Mi ha detto che anche bob marley venne a Kathmandu, ma a naso mi pare una cosa un po’ strana.
Si, si, è la pagoda degli hippie...
Poi c’è una pagoda che si dice sia stata costruita da un unico grande masso e accanto a lei un’enorme pagoda  su travi in legno che dovrebbe essere costruita con il legno di un unico albero. E dal nome di quella pagoda “Kasthamandap” deriva il nome della città.

 Ovviamente anche qui ho trovato una pagoda è decorata con immagini tratte dal kamasutra o comunque con scene di sesso. La guida mi ha detto che quella pagoda era considerata protettrice dai lampi. Mi ha fatto tutta una connessione tra sesso, forza, protezione che in effetti fila proprio, anche se la cosa dei lampi mi ha stupita. Parlando di queste cose, gli ho  chiesto come considerano l’omosessualità e lui mi ha detto che non ci sono problemi, che sono molto aperti. O almeno questo è quello che ho capito.
Loro saranno aperti, ma la statua di Hanuman, il dio scimmia, aveva il volto coperto per non fargli vedere le scenette erotiche della suddetta pagoda…
Ho visto anche l’ingresso del tempio dedicato a Shiva in cui ogni anno si sacrificano tantissimi animali: ha un bell’ingresso decorato con colori vivaci ma non era possibile entrare perché veniva aperto solo per le occasioni speciali. E poi ho questi bizzarri capelli biondi...


La foto non è un granchè, però è per far vedere che sotto ci sono decorazioni buddiste e sopra (la porta) induiste

Infine il palazzo della Kumari, la dea incarnata in una bambina vera di circa sei anni. Nella sua figura si incontrano buddismo e induismo, questa bambina viene scelta attraverso un preciso iter e per tutta la sua permanenza nel palazzo vive da dea in terra. Appena ha una fuoriuscita di sangue, sia mestruale che a causa di una ferita, o in caso di una malattia seria, viene sostituita perché la cosa significa che la dea si è allontanata da lei. Ci hanno fatto aspettare nel cortiletto, tra l’altro significatamente decorato a metà con scene buddiste e metà con immagini induiste, finchè non si è affacciata dalla sua finestrella. E così è stato, ho visto una bambina truccatissima e paffutella, chissà cosa per passava per la mente. Ha guardato in giro per pochi istanti e poi se n’è andata. Dicono che porti fortuna guardarla, così ho chiesto alla mia guida quante volte l’ha vista accompagnando i turisti e se pensa di essere fortunato. Ha sorriso.

Secondo me la Kumari è apparsa un po’ a comando per soddisfare i turisti, ma almeno non ho dovuto pagare per vederla.
In conclusione ho fatto due passi in freak street, chiamata così proprio in onore dei frikketoni che evidentemente in massa venivano fin lì, ma non l’ho trovata diversa dalle altre, a parte un “penny lane cafè” e un gruppetto di ragazzi dall’aria alternativa europea. Non mi sono neanche fermata a mangiare perché secondo me mi avrebbero fatto pagare tanto solo per il nome della via.
 

Swayambhu
In compenso ho preso un taxi (contrattando) fino al “Monkey temple” ossia Swayambhu, luogo sacro buddista. Per arrivarci in via canonica bisogna salire 365 scalini, ma il tassinaro mi ha lasciata presso l’ingresso più alto, meno male. Comincio davvero ad apprezzare l’atmosfera dei luoghi buddisti, molto serena e disponibile.
Accolta da un Buddha in acqua che invita alla pace e da una miriade di fila di bandierine, salgo pochi gradini e trovo il grande stupa dorato con gli occhioni che tutto osservano. Bello e imponente come belli sono anche gli altri stupa piccolini disseminati intorno. Sembrava di stare in un cimitero vecchia maniera, pieno di lapidi, ma in chiave meno dark.
Per favore F. non farmi storie per le foto, non le ho neache ritoccate e c'era un sole fortissimo che nn mi faceva vedere bene il visore....
Intorno agli stupa c’è una cittadella fatta di vecchie case ormai adibite a negozietti di souvenir e a ristoranti. Dopo aver visitato un tempio zeppo di Buddha dorati, sono andata a mangiare godendo di una bella veduta sulla valle mentre le scimmie mi hanno fatto compagnia durante l’attesa dei momo (ravioloni cinesi).
Ma la veduta migliore l’ho avuta dopo, da una panchina panoramica, e mi sono seduta a guardare il tramonto che avanzava su questa enorme città e tutta la valle. Finalmente ho trovato un luogo di pace nel caos di Kathmandu e in quel momento l’ho salutata.

lunedì 24 ottobre 2011

Sto vedendo così tante cose nuove che tante volte mi chiedo se la mia testa ce la farà a contenerle tutte, ma daltronde è proprio questo che volevo, allontanarmi dalla routine, dalla consuetudine che porta a non vedere più quello che si ha intorno.
Che poi, in realtà, anche qui dopo un po' mi sono abituata ad alcune cose, tipo gli scracchi della gente (però sto sempre molto attenta a dove sono diretti) e alla fisionomia locale. Mi guardo poco allo specchio, in fonso potrei pensare di essere anche io una di loro. Chissà che effetto faccio ai loro occhi, così sbiavida come sono.
Oggi mi sono vista in una foto e mi sono detta che per forza, con quella faccia lì, cercano tutti di fregarmi.

In ogni caso, adesso vi dico cosa ho visto ieri e cercherò di essere breve.

Ieri col mio autista p-e-r-s-o-n-a-l-e sono andata a visitare quattro posti:

Boudanath
E' stato il primo. Scesa dal taxi ho varcato l'arco che delimita l'area sacra dalla città. Pagato il biglietto, mostrato al controllore, messo tutto a posto, ho finalmente alzato gli occhi e ho visto due occhi più grandi dei miei che mi fissavano.

Eh si, la mia reazione alla prima "stupa" è stata molto forte.Non so perchè, ma mi ha preso una grande emozione. Non credo in motivi religiosi o spirituali, probabilmente è merito dell'immediatezza del linguaggio artistico. La stupa è un insieme di simboli, ma è anche arte.
Comunque ho fatto fatica a soffocare l'emozione che più volte si è ripresentata.
La stupa, non lo sapevo, dentro non è visitabile. In questo caso si può solo salire su un piano intermedio oppure aggirarsi nel cortiletto interno, dove i fedeli possono far girare i cilindri con impressi i mantra, lasciare fiori e pregare.
Sul terrazzone mi ha avvicinata una monaca e abbiamo scambiato due chiacchiere, ma il suo inglese era forse peggiore del mio. In ogni caso, molto sorridente e disponibile, ha anche accettato di fare una foto con la spilla dell'associazione di volontariato di Bari e in cambio del mio dono (ma non era un dono! volevo solo farle la foto!!) mi ha regalato una collanina con non so quale santo buddista.

Intorno alla stupa le solite bancarelle a cui resto attaccata come gli insetti alla carta moschicida e diversi luoghi di culto sempre buddisti. In uno sono entrata seguendo gli altri turisti. Ero un po' imbarazzata perchè i monaci stavano mangiando, non mi sembrava gentile disturbarli, ma loro non sembravano infastiditi. Dietro di loro un paio di "visi pallidi" meditava. Ho fatto le solite foto e sono tornata alla macchina.

Pashupatinath
Più che un tempio, una vera e propria cittadella induista sorta sulle sponde di un fiume sacro.
Si vede che nella prima sosta mi ero soffermata un po' troppo perchè l'autista ha provato ad impormi un limite di tempo di mezz'ora. Seh, a parte che gli ho ricordato i patti con il suo boss, poi il sito era davvero grande, in mezz'ora non avrei visto nulla.
Molto bello questo posto, anche se dopo l'emozione di Boudanath non mi aspettavo più nulla dalla giornata.
Essendo induista, anche qui il tempio vero e proprio non è visitabile dagli stranieri. Ho chiesto alla mia guida come fanno a sapere che non sia induista e lui mi ha risposto che ho colpa della mia pelle.
- e se andasse un italiano con i capelli e la pelle scura?
- sentirebbero che non sa la nostra lingua
Insomma questi induisti sono un bel po' esclusivi. Altro che proselitismo.
Eppure, in cambio di soldi c'era il bramino (?) che poteva mettermi il puntino di colore sula fronte o leggermi la mano. E un paio di bramini (?) seduti su un gradone addirittura mi hanno chiamata per farmi una foto con loro. Gratis? Non credo proprio.
Insomma, un po' il fastidio che ho provato al tempio della dea Kali.
Però non era tutto lì. C'erano i fuochi per le offerte di incenso e le preghiere, c'erano i funerali sulla sponda del fiume e c'erano lingam e yoni ovunque. Fertilità, mi ha detto la guida. E anche le scene erotiche sui supporti in legno di un tempietto rientravano smepre nello stesso quadro. Dietro, sul muro, scheletri danzanti e mostri vari.




Attraversando il ponte che unisce le due parti della cittadella si aveva un'idea maggiore della magia di quel posto. Il fiume che arriva dalla foresta lasciandosi alle spalle il suono dei suoi abitanti è davvero suggestivo, come sempre per capire meglio un posto storico bisogna sforzarsi ad immaginarlo secoli fa e così, in effetti, la sua sacralità di Pashupatinath appare evidente.

Bakthapur

Bakthapur è patrimonio Unesco e in effetti è un bellissimo centro medievale, piccoletto ma ben conservato. E poi, alleluia, è un'isola pedonale quindi si può visitare con calma e senza dover lottare con le macchine.
Zeppa di templi e tempietti induisti, sono riuscita ad entrare in uno, non so come mai, forse mi sono dimenticata di non essere induista o forse era "sconsacrato" perchè c'erano dei lavori in corso. In effetti il volto della divinità era coperto.

Anche qui ho preso una guida visto che con la precedente mi ero trovata molto bene. Questa invece non sapeva per niente l'italiano e sputacchiava quando parlava, quindi alla fine gli chiedevo il meno possibile.


A Bakthapur c'è una porta dorata dalla quale si accede ad un'area sacra percorribile da noi biancastri solo per un pezzo. Poi inizia il tempio vero e proprio e ovviamente non si può entrare, ma neanche fare foto alle decorazioni esterne. Là dentro, una volta, viveva una delle tre Kumari. La Kumari è una reincarnazione della dea Kali e viene individuata in una bambina piccolissima. Quando la Kumari ha una perdita di sangue, che sia mestruale o per una ferita, cessa il suo essere divino e viene cercata un'altra. Ora c'è solo una Kumari ed è a Kathmandu.

La pagoda più alta (e più in alto) di tutto il Nepal


Tra i palazzi di Bakthapur c'è anche una famosa scuola di pittura tanka e ovviamente ho comprato qualcosa con il mio abozzo di contrattazione.

Per finire, ho fatto una foto ad una vecchina e lei dopo mi ha chiesto dei soldi. Questa cosa mi ha davvero disgustato, mi è sembrato esagerato. Poi mi dico che questa gente davvero vive nella miseria e io neanche so cosa vuole dire.

Patan
Patan è simile a Bakthapur, però si trova nel mezzo della città, in una zona trafficatissima. Anche se è isola pedonale, resta la sesazione della confusione. Ero molto stanca, quindi forse l'ho visitata con un po' di superficialità. Però mi ha sorpreso l'iniziativa comunale di mettere dei vasi di fiori vicino alle fontane chiedendo ai passanti di averne cura.