sabato 22 ottobre 2011

Dalla dea Kali

Stamattina ho messo la sveglia abbondantemente presto per poter essere puntuale al'appuntamento con l'autista. Ovviamente (credo che sia una specie di legge del contrappasso) alle sei non c'era nessuna macchina roboante pronta a partire. Il ragazzo alla reception non sapeva che dirmi, ha parlato di areoporto, ha fatto telefonate in giro e alla fine, dopo mezz'ora e un caffè lungo suppongo fatto con la polverina, ecco l'autista tutto per me. Un anzianotto nepalese che in realtà si aggirava già per l'ingresso, ma forse non era ancora stato investito del sacro ruolo. In ogni caso, a 30 all'ora, con punte di 40, abbiamo attraversato la valle. Buona parte del viaggio l'ho trascorsa pensando a quello che non andava. Non parlo del viaggio, ma di me. Che mi sento, come dire, legata? bloccata? come se ci fosse uno strato di detriti tra me e la fluidità.
Per dirla alla nepalese, mi sentivo come una gola da raschiare.

Però non ho pensato a questo per tutto il viaggio. Per arrivare a destinazione abbiamo attraversato campi di riso, coltivazioni a gradoni, e qualche villaggio.




Nei villaggi la visione è senz'altro più genuina che in città. Donne che trasportavano balle di vegetali sulle spalle reggendole con la fronte, piccoli aritigiani, una donna che spulcia l'altra, una bambina che si lava in cortile. E tanta vegetazione. In alcuni tratti abbiamo attraversato zone fitte di bosco e il rumore che ne proveniva era fortissimo, ma non riuscivo a decodificare bene quali animali e insetti potessero essere. Insomma era diverso.





Finalmente arriviamo a destinazione e l'anzianotto nepalese mi comunica quasi telepaticamente che si sarebbe fermato lì e io avrei dovuto proseguire a piedi. Scendo dalla macchinona e mi incanalo là dove vanno tutti.
La mia prima impressione è stata quella di essere assolutamente l'unica straniera. Poi ho cominciato ad osservare i banchetti, le spezie, la frutta...



I devoti erano una massa eterogenea. C'erano quelli dai santi propositi, c'erano le famigliole in gita votiva, c'erano le ragazzine vestite a festa che si facevano le foto col cellulare. E c'erano i ragazzini emo.
Le tre categorie maschili: anziani silenziosi e pacati, giovani furbetti e adolescenti standard tunz tunz.
Poi dicono la globalizzazione.

Insomma, dopo un po' di fila mi viene detto che non potevo entrare nel tempio, ma solo fare il giro dei profani. Ho provato a spiegare che avrei fatto anche a meno di fare lo foto pur di partecipare al rito, ma nulla. Troppo bianca. E se fossi stata un'italiana indu? Niente da fare.
Allora mi accontento di entrare di lato, niente coroncina nè candela da parte mia per la dea Kali.

Comunque, una volta entrata nella zona del tempio, l'insieme di musica, odori e sceniario è stato molto emozionante. Anche se la musica era registrata...




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